CopertinaSylvia
di Stefania Caracci, Edizioni Tascabili e/o
Prezzo € 8

Commento

Il libro di Stefania Carracci è un delicato e tenero ritratto della poetessa Sylvia Plath, ma anche un profondo studio della psicologia e della psicopatologia dell’artista.
A parte l’accurata descrizione, questo libro è un valido aiuto, direi un piccolo manuale che aiuta a comprendere le poesie della Plath che, seppur fortemente evocative non sono sempre facilmente comprensibili se non si situano in un preciso momento biografico della poetessa.
La lettura di questo libro, che consiglio a tutte le persone che si interessano di arte, letteratura, psicologia e psicopatologia, suscita anche molte domande e impone delle riflessioni.
Una riflessione che mi è stata stimolata dalla lettura di questo libro è perché la figura di Sylvia Plath ha colpito tanto l’immaginario collettivo e rimane un’icona molto toccante. La mia impressione è che per alcuni versi la storia di Sylvia Plath somigli a quella di Marilyn Monroe e rappresenta il tentativo, disperato, che negli anni ’50- ’60 portava molte donne di talento a porsi in una situazione di conflitto praticamente insolubile. Infatti, intorno agli anni ’50-’60 da una parte donne di talento e voglia di affermare la propria autonomia percepiscono che si stanno creando le possibilità di questa realizzazione (è l’epoca dell’inserimento della donna nel mondo del lavoro avvenuto durante la seconda guerra mondiale appena finita che aveva aperto le officine e varie attività lavorative in mancanza di uomini inviati al fronte), ma anche intuiscono il retaggio di una cultura che si oppone subdolamente a queste realizzazioni.
Questi due personaggi secondo me hanno in comune la voglia di realizzare questa autonomia, ma i cambiamenti culturali non sono tanto avanzati e pertanto rimane il paradigma che la donna debba necessariamente appoggiarsi ad un uomo. Ma il desiderio di libertà edi’autonomia, reso impossibile dalla necessità di un appoggio ad una figura maschile, diventa un conflitto mortale.
La Monroe e la Plath hanno due storie familiari molto diverse: la prima ha una madre psicotica ed un padre sconosciuto, anche se lei fantasticherà sempre che questo padre sconosciuto sia un grande attore; la Plath invece ha una famiglia più o meno regolare che sarà però turbata dalla precoce morte del padre che avviene quando lei aveva circa 10 anni, morte del padre che la madre non le farà vivere non solo non facendola partecipare alla malattia del padre, ma nemmeno ai funerali e la costringerà ad accettare questa perdita come inevitabile, costringendola a reprimere tutto il suo dolore ed i suoi affetti.
Quindi, come possiamo vedere, i condizionamenti non sono tanto legati all’ambito familiare, bensì ad un ambito culturale, quindi più ampio e difficile da affrontare. Ed entrambe tentano la strada dell’autonomia e della realizzazione personale, ma dovranno sempre aggrapparsi ad un uomo famoso, molto spesso idealizzato.
La Monroe avrà una vita affettiva molto promiscua: ma sempre punteggiata dalla presenza di uomini famosi. La Plath invece è tendenzialmente monogama: ma il grande amore della sua vita sarà un giovane poeta emergente che sicuramente già domina la scena culturale dell’Inghilterra. Ovviamente la presenza di questi personaggi famosi è necessaria per aumentare la loro fragile autostima: ma le espone al rischio della perdita e del tradimento. Questo bisogno di un oggetto famoso o idealizzato – che ovviamente serve ad aumentare l’autostima-, può essere il segno di una dimensione depressiva presente in entrambi i personaggi. Alcuni aspetti maniacali rappresentano la reazione passeggera e spesso inutile a questa tendenza depressiva. Spesso questa reazione maniacale veniva aiutata dall’uso di psicofarmaci e di alcool e pertanto ritengo che, soprattutto per la Plath, si possa pensare ad una diagnosi di depressione esistenziale grave più che ad una psicosi maniaco depressiva. Non si può raggiungere una vera autonomia quando la struttura personale e culturale spinge queste persone, sicuramente dotate di talento, ad esprimerlo solo appoggiandosi ad un rapporto anaclitico molto forte. E questo conflitto assolutamente irrisolvibile porterà ambedue inevitabilmente al suicidio. Inoltre – e questo vale per la Plath- “il caparbio impegno contro la difficoltà di una affermazione prima universitaria e poi letteraria e la lucida coscienza del costume vigente, unita alle quotidiane frustrazioni di una donna che è costretta a scrivere versi con le incertezze dovute alla gestione della casa e all’allevamento dei figli che la Plath aveva fortemente desiderato in un ovvio e naturale desiderio di realizzazione come madre” (G. Giudici) creano un conflitto insanabile.
Ma la Plath suscita ulteriori riflessioni: una singolarità è la ripetizione esattamente a dieci anni di distanza tra il primo tentativo di suicidio ed il secondo purtroppo riuscito. Bisogna ricordare che proprio all’età di 10 anni essa aveva subito il trauma della scomparsa del padre. Come si spiega questa ripetizione così precisa di 10 in 10 anni? Ha un significato? Forse sì. Comunque quello che vorrei sottolineare è che la biografia della Plath è una fonte infinita di domande sulla psicologia e la psicopatologia e sulla capacità di contenere quest’ultima attraverso la produzione artistica.Ma anche interrogarsi ,su di un piano più generale,che rapporto esistetra struttura depressiva( melanconia) e creazione artistica? Secondo F.W.J. Scelling “Scritti sulla filosofia,la religione, la libertà” afferma che nell’uomo c’è una materia oscura ,una pesantezza dell’animo(Schwermut) che à all’origine del pensiero e della creatività. “Il pensiero è rigorosamente inseparabile da una melanconia profonda, indistruttibile”. L’esistenza umana,la vita dell’ intelletto,significa una esperienza di questa melanconia e la capacità vitale di superarla.

Estratti dal testo
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Il medico l' ascolta, l'aiuta a non crollare. Lei non confessa completamente il suo dolore, si cela dietro una falsa disponibilità, come ai tempi del tentato suicidio. Lui fa leva sul suo orgoglio e sulla sua creatività.
Le prescrive dei tranquillanti, ha pazienza. Sylvia lo sente dalla propria parte, si lascia guidare e gli apre il suo cuore, fin dove le pare opportuno. In ogni caso accetta la terapia e ne osserva le prescrizioni.
Continua però a vagabondare di sera, inseguendo il chiarore della luna tra gli alberi scuri e spettrali, così facili da affrontare rispetto agli occhi della gente, davanti ai quali deve usare veli e maschere. Le si fa incontro lo spettro della morte, che con il suo carico di ricordi la trascina verso il suicidio di tanti anni prima.
Riflette sui motivi per cui a diciannove anni aveva cercato la fin, comprende che fu l'epilogo di una battaglia interiore tra la volontà di perfezione e il terrore di mancare l'obiettivo. Si sforza di uscire dallo schema perverso già sperimentato. Cerca la sfida e scende tra la gente che affolla le strade del centro, magari a far compere, cercando un contatto, un riferimento, un richiamo che accolga la voglia di vita che nonostante tutto le brucia dentro.
L’’inverno rimane gelido e le strade sdrucciolevoli e infangate. Dopo una delle sedute dallo psichiatra, per non tornare subito a casa, stringendosi nel cappotto pesante, va in un bar, il viso arrossato dal vento, due lettere tra le mani. Le stringe, sanno di casa, sembrano una bandiera. Ordina caffellatte e pasticcio di pancetta, cavoli, e patate e si guarda intorno, poi apre le buste e punta gli occhi sui fogli fitti di parole, spiegati davanti al piattino del pane e burro. Ne balza fuori sua madre, impegnata tra i fornelli e la cattedra. universitaria, che la incoraggia a portare a termine il periodo della borsa di studio, così potrà scegliere per il futuro, magari insegnare all'università. In Sylvia si risveglia subito l'orgoglio e la voglia di confrontarsi con la Sylvia a cui Aurelia parla, quella che lei ama. Sua madre è coraggiosa e combattiva, lei non può essere
da meno. Arriverà in primavera, scrive, e Sylvia immagina di prepararle un'accoglienza fantastica, la "sua" Inghilterra non dovrà deluderla.
Quando esce è rinfrancata e carica, e inizia a giocare con la neve raccolta lungo i marciapiedi. Il candore abbagliante le entra dentro, spazzando via la voglia di nascondersi. A testa alta, s'avvia lungo Sto Mary's Street, una sciarpa gialla intorno al collo. L'alternanza tra la fiducia in sé stessa e nel mondo e l'abbandono alle insidie della depressione, ripropone pericolose instabilità emotive. Anche l'attesa del postino alimenta l'ansia. Ogni volta teme il responso degli editori a cui rinvia le opere respinte, finché non vengono pubblicate. Sulla porta di casa ogni giorno aspetta la risposta, la ricompensa, da sventolare davanti agli occhi di sua madre e del mondo intero, per poi tornare a sé, l'ego inorgoglito.
Di sera si raccoglie a dialogare con la luna. Anche questo è un vecchio vizio, che le permette di essere sincera. La luna conosce Sylvia, e sa custodirne i segreti.
È complice e amica, può lasciarsi andare e gettare la maschera. L'accetta com'è, con la sua deprecabile vulnerabilità e la contraddittorietà del suo sentire. Non ha bisogno di mostrarle abilità, esuberanza, vivacità di spirito e bellezza, il chiarore lunare è discreto e famigliare.
E alla luna confida il disperato amore per Richard, l'obiettivo mancato di costruire una famiglia con lui.
Non può esserne l'amante tenera e appassionata, e naturalmente neppure la madre dei suoi bambini, come ammette con rabbia. L'inedito desiderio di maternità la tormenta come un tarlo, coincide con il prolungamento della vita, la perfettibilità, quando sarà tonda e gravida somiglierà alla luna.
pp.86-88

……………
L'ambiente è saturo di alcol e fumo. La musica del piccolo complesso jazz è forte, accompagna i movimenti scomposti delle coppie, copre le parole, favorisce l'ottundimento della ragione e l'abbandono ai sensi. Sylvia è già quasi ubriaca; osserva le ragazze, quasi , tutte in abito scuro, le trova scialbe, afferra un bicchiere e si avvicina dapprima a Luke Meyers, completamente sbronzo, e poi a Huws, l'autore dell'acido commento alle sue liriche sul "Chequer". Sylvia vorrebbe parlarne, ma è impossibile ascoltarsi in tanto baccano, e lo abbandona per tornare da Luke Meyers, che le sorride, e sembra digrigni i denti in una smorfia satanica. Mentre ballano ondeggiando per i troppi bicchieri, lei gli racconta di aver letto e apprezzato le sue poesie pubblicate sulla "St Botolph's Review".
Quando finisce la musica Luke si allontana con la giacca ciondoloni e il sorriso da ubriaco appiccicato alle labbra, lasciandola sola in mezzo alla stanza. Imbarazzata, ma in piena euforia alcolica, Sylvia si guarda intorno. Ha caldo, le mani sono appiccicaticce per il gin traboccato dal bicchiere, la pelle è sudata, e la musica che rimbomba nella mente le ingarbuglia i pensieri. Anche gli occhi sono confusi. Incrocia d'improvviso lo sguardo di un ragazzone alto, dinoccolato e bruno, che le va incontro, fissandola negli occhi, attraversando la stanza a larghi passi. Finiscono per fronteggiarsi a distanza ravvicinata. Sylvia capisce d'istinto chi è, recita i versi apparsi sulla rivista. Lui le chiede se le piacciono, e per continuare a parlarsi senza urlare la spinge dentro una stanza meno affollata e rumorosa.il gioco verbale è intrigante ed erotico, li trascina a svelare !'immediata attrazione fisica senza pudore. Lui, accennando alla ragazza che ha lasciato in attesa di là, sfida Sylvia. Ha labbra dalla linea decisa, fronte ampia, occhi lucidi e profondi e d'impulso la bacia sulle labbra. Non soddisfatto, nell'andare verso la porta si gira e le tira via dai capelli la fascia rossa, per ricordo, dice ad alta voce, e intanto un orecchino d'argento, trascinato dall'irruenza del gesto, cade a terra. Esterrefatta e scossa, quando lui cerca ancora di baciarla, questa volta sul collo, per tenergli testa Sylvia lo morde su una guancia. La situazione è arrivata al massimo della tensione sostenibile, si separano.
Da subito le è chiara L'importanza dell'incontro. Le sembra che la nebbia che fino ad allora le ha ingabbiato la mente sia improvvisamente diradata.
pp.92-94

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Brucia nell'attesa di rivedere Ted, eppure a tratti è rinunciataria. Non esce neppure per pranzare, la testa sui libri, il pensiero vago e la sensazione di essere colpevole.
Intanto amici comuni le confermano che lui vive a Londra e ha una relazione sentimentale stabile, tuttavia le dicono che lo si può incontrare anche nei pub di Cambridge. Si prepara a inseguirlo.
Hughes è proprio il colosso delle sue fantasie, l'uomo alla cui ombra vivere e creare, ne è convinta. Fin dalla mattina successiva all'incontro, dopo solo sei ore di sonno agitato, Sylvia ha cominciato a balbettare il nome di Ted, a invocarlo, angosciata all'idea che potrebbe non rivederlo. Si costringe ad aspettare e continua a chiedere di lui in giro. Riesce a sapere che Ted è !'indiscusso e magnetico leader del gruppo di ragazzi che si incontrano di solito al pub The Anchor, e che è un gran raccontato re di storie fantastiche. Dovrà essere sobria quando lo rivedrà, riflette, e anche lui per poter parlare di poesia, della poesia di entrambi, così approfondire la reciproca conoscenza.
pp.94-95

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Eppure anche il rifugio incantato del Devon non la protegge, non a sufficienza. È una donna a distruggere brutalmente il suo mondo. Assia Gutman, moglie del poeta David Wevill è ospite di Court Green insieme al marito. Sono gli inquilini a cui Sylvia e Ted hanno lasciato l'appartamento londinese di Chalcot Square e con cui hanno mantenuto rapporti amichevoli.
Sono giovani come loro e stanno bene insieme, si scambiano idee sulla poesia e la società letteraria londinese, si raccontano i propri progetti. Apparentemente è Assia a dare inizio alla schermaglia amorosa con Ted. Sylvia li trova di mattina soli in cucina, una tazza di caffé in mano, stranamente imbarazzati. Non può ignorare i loro sguardi prolungati, i silenzi complici. Quando Assia lascia Court Green stringe in mano un biglietto, Ted le promette un appuntamento a Londra per il giorno successivo.
…..
Ted, il colosso delle sue fantasie è creta sbriciolata sul tappeto di casa. La serpe ha divorato l'olmo, strangolato le ninfee del parco. I bambini non ascolteranno le cantilene della buona notte e le giunchiglie affogheranno nella pece. Lui è solo una marionetta bugiarda, pensa Sylvia rabbiosa mentre fugge da casa, ma sa che non può andare lontano, i figli sono lacci alle caviglie. "
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Solo pochi giorni dopo arriva in Inghilterra Olive Prouty. Sylvia non vuole deluderla e decide di non confidarle nulla del disastro con Ted. D'accordo con lui, vivono la presenza della scrittrice come una festa, proprio come vuole Sylvia. Alla madre racconta del piccolo albergo nel cuore di Londra in cui hanno alloggiato tutti insieme, della commedia di Agata Christie a cui hanno assistito, e delle chiacchiere sul lavoro e la poesia, scambiate a tavola. Anche il tono delle lettere a casa non è cambiato dopo gli ultimi avvenimenti. La madre sa, ma la mancanza di autenticità nelle loro confidenze non permette a Sylvia di sfogarsi. Si attacca alla faccia di sé che espone agli altri:
se sua madre le crede, può fingere che sia la verità, e sdoppiarsi. È la Sylvia dei versi quella che narra alla luna la propria disperazione, nei soliloqui tormentati delle notti insonni, in cui sfida l'abbandono della persona amata con l'energia che le viene dalla ribellione. È la Sylvia di L'altra, e di Parole sentite per caso, al telefono.
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In uno scoppio di rabbia, una sera in cui si aggira disperata, brucia carte e oggetti di Ted in un angolo del giardino e improvvisa una danza intorno alle fiamme, come una strega, invasata e infelice. Si alza in aria un foglietto annerito, Sylvia lo insegue veloce, e lo legge, sempre in attesa di messaggi. Dido, ecco cosa c'è scritto. È un segno? Ne ha bisogno, la solitudine in cui vive, il suo dramma è devastante. Ted l'ha messa in contatto con le forze dell'aldilà e ora ha bisogno di comunicare almeno con loro, per avere consigli e premonizioni.
pp.168- 172

La donna ora è perfetta,
il suo corpo
morto ha il sorriso della compiutezza
(Limite)

 

…………..
E intanto, nella solitudine della luce diafana dell’alba, mentre i bambini dormono, nascono versi splendidi e crudeli, che violano con determinata e feroce volontà l'intimità, che altrimenti nasconde. I versi sono fiamme che la consumano, intensificano il dialogo con la morte, che le porge l'alternativa vincente. Il grido dell'anima è disperato e composto, raffinato e fatale, in Verso la meta, Le danze notturne, Gulliver, Talidomide, Lettera in novembre, e Morte&Co.
In quel terzo tempo che si inserisce tra la notte e il giorno e tra la morte e la vita, stretta dalla morsa d'acciaio delle responsabilità di madre e di scrittrice, sa di poter perdere sé stessa. Prima dovrà aver fatto il proprio lavoro, aver riversato nelle liriche l'esperienza più sconvolgente della sua vita.
Solitudine e silenzio favoriscono dialoghi allucinati con il padre e Ted, con la parte detestata di sé, con sua madre. Recupera ricordi, schiaccia sentimenti e trasforma le esperienze di vita in dolore universale.
Chi vuole trovarla, dovrà cercarla tra le mura della casa in sfacelo. Con le unghie sgretola !'intonaco delle stanze vuote, per entrare nel vivo della roccia, che come una bocca famelica e rossa, come la corolla di un tulipano, l'attira per sospingerla verso il simbolico comignolo, dove si accumulano le ceneri dell'umanità a cui è negata libertà, lei stessa è ebrea vinta e smembrata.
Il secondo libro di poesie di Sylvia, Ariel, che raccoglie le ultime quarantuno liriche, più della metà scritte negli ultimi due mesi, non ha successo. Alcune poesie appaiono sul "London Magazine", il "New Yorker", e "Atlantic Monthly", ma la raccolta riceve la stessa fiacca accoglienza che ha avuto Il colosso in America.
Sylvia, che sa di aver immesso nelle nuove poesie la pienezza e la libertà della sua voce nuova, si sente fallita. Aveva creduto che la sua poesia sarebbe arrivata lontano, che le sue parole si sarebbero fatte ascoltare, invece rimangono uno sfogo privato. Nonostante la delusione, continua a creare con la stessa prorompente fertilità, non può farne a meno; rimescola nel dolore e nel passato, rovesciando sé stessa senza parsimonia, accendendo le luci dell'interiorità fino a esporre ogni ferita, odio e rancore. È la Sylvia di Anni, I paurosi, Il canto di Maria e Alberi in inverno che denuncia orrori, sfidando la paura di rimanere invischiata nelle stesse trame dell' arazzo che cuce. È un'operazione in cui rischia molto, perché mette la propria vita sotto una lente d'ingrandimento, mostrando senza pietà cedimenti e menzogne, violenza e mascheramento. Sylvia lo sa, ma si ostina a privilegiare la poesia più che fare attenzione a sé stessa, è lì che cresce la poetessa, giorno dopo giorno, sdoppiandosi dall'immagine che ha costruito per gli altri.
……
Novembre è grigio e umido a Court Green, il giardino lamenta mancanza di cure, i bambini si raffreddano di continuo e le baby-sitter si avvicendano rovinosamente: c'è da accudire, cucinare, acquistare cibi e maglie di lana. La presenza di Sylvia è richiesta perentoriamente. E lei inquieta e smagrita, tremendamente sola, corre nella grande casa. Tutto ciò che avrebbero dovuto tirare avanti lei e Ted, anche gli alveari e l'orto, tutto risente dell'abbandono, nonostante gli sforzi a cui si sottopone.
È passato più di un mese da quando lui se n'è andato, ma la collera di Sylvia è intatta. È faticoso riconoscere il colosso che ha amato con tutta sé stessa, il genio che ha aiutato con sacrifici e rinunce, nell' 0muncolo irrispettoso e privo di giudizio che l'ha abbandonata, lasciandosi dietro due bambini e una vita famigliare quasi assestata dopo tante fatiche. Non riesce a perdonare che sia stato così vigliacco da lasciarsi vincere dal richiamo di una vita facile, senza i problemi dei figli, i pianti nella notte, il latte da preparare a orario, i cambi dei pannolini, e naturalmente i turni per scrivere, e i soldi da contare. Lui ha scelto di vivere a Londra, al braccio compiacente di chi lo ha strappato a lei con !'inganno, e trascorre il tempo occupandosi di sé stesso e delle sue opere, e naturalmente della bionda che gli è accanto, immaturo e narciso.
Vorrebbe cancellarlo dalla sua vita, ma l'amore e l'odio sono così vicini negli accessi di rabbia che la pervadono, che Sylvia fa fatica a distinguere l'uno dall'altro. Non sarà mai completamente fuori dalla sua ombra, che ora non è più protettiva e amica, ma solo soffocante ingombro. È consapevole che forse non potrà più far parte di lui, e l'ambiguità della condizione la tortura.
pp.186-189
……
Sylvia è in preda a una sorta di iperattivismo che non le dà tregua. Corre senza sosta per soddisfare le esigenze dei bambini e della casa, soprattutto nei giorni che precedono il Natale, anche se non è ancora guarita. Compera degli scaffali di abete per i libri, un largo vaso da fiori, un tavolino di cristallo e delle sedie di paglia, e decide di coprire il pavimento con tappeti di iuta. Nonostante gli sforzi di renderla piacevole, a chiunque entri la casa di Fitroy Road appare fredda e incolore. Sylvia è efficiente, ma non può dare il calore che non ha. Forse i materiali ruvidi che ha scelto rivelano il rigore formale che deve esercitare su sé stessa per comprimere il caos che cova nell'animo. E si evidenzia anche nell'atteggiamento che tiene nei confronti del vicino di casa Trevor Thomas, che abita l'appartamento sotto il suo. Lui si lamenta di lei, perché è costretto a subisce le disattenzioni e le stravaganze.
Sylvia ostruisce spesso il passaggio con le carrozzine dei bambini abbandonate nell'ingresso, poi non usa il suo bidone della spazzatura ma quello destinato a lui, Sylvia non pulisce abbastanza il pianerottolo, Sylvia ha occhi assenti o troppo inquieti, cambia umore di continuo, disorienta chi le vive accanto.
Quando i bambini dormono ed è sola nel silenzio della casa londinese, osserva sé stessa e la propria vita con occhi disincantati e interrogativi, e se le accade di posare lo sguardo sugli abiti appena acquistati che pendono nell'armadio, scuote la testa e piange. Ai suoi occhi sono cadaveri flaccidi. Sua madre li ha voluti per lei, un regalo speciale. Sylvia, nel lago di dolore dov'è immersa, si vede nuda, solo un grumo dolente appeso all' olmo del Devon. Con l'assegno di Aurelia ha comperato il completo di velluto e delle camice stile torero, per rinascere. È serpe che cambia pelle, assecondando sua madre, pur non trovando nessuna rassicurazione che plachi la rabbia e le rabberci le ferite.
Nelle lettere si mostra entusiasta della nuova vita e della sistemazione in città. Con la madre sostiene che i lavori dell'appartamento sono quasi finiti, ha dipinto la camera da letto in bianco e giallo. Ha comperato anche una lampada dorata; il colore del miele, riflette mentre scrive, e il solo evocarlo la ferisce. Forse è proprio il ronzio delle api immaginarie che depositano il miele nella sua stanza da letto a infrangere il silenzio delle notti, oppure è l'urlo d'una bestia feroce, che la insegue per sbranarla, forse ancora l'orso killer dello Yellowstone.
pp.191-192
……………
Durante il tragitto verso Fitzroy Road, l'umore di Sylvia peggiora, si sforza di non cedere ma scoppia spesso in lacrime, allora Gerry si offre di riportarla a casa loro, lì Jillian potrà prendersi cura di lei e dei bambini, ma Sylvia si ostina a non cambiare idea.
Asciuga le lacrime, si ricompone con dignità, e pretende di essere accompagnata a casa sua.
Arrivano al 23 di Fitzroy Road intorno alle sette di sera, Gerry lascia Sylvia e i bambini davanti al portone, dove li vede sparire di colpo.
All'interno dell'appartamento, Sylvia prepara subito il latte per i piccoli, che poi porta nella loro camera, al piano superiore.
Il dottor Horder va a farle una visita, la trova tranquilla, e la lascia confidando nell'atteggiamento all'apparenza sereno. Sylvia continua la sua recita, anche con lui, e le riesce bene.
Nel silenzio delle stanze dove dormono i bambini decide di comunicare con i suoi, scrivendo qualche lettera, quindi scende da Trevor Thomas per chiedergli dei francobolli. Lui che è stato in ascolto dei passi inquieti del piano di sopra, ha intuito il nervosismo di Sylvia, ma quando se la vede davanti, smarrita, gli occhi assenti, pensa che sia vittima di farmaci. Le dà i francobolli che gli chiede, dicendole di non voler soldi in cambio, ma Sylvia insiste, perché non vuole debiti, per essere con la coscienza a posto davanti a Dio.
Lui l'ascolta attonito e sempre più preoccupato, si offre di chiamare il medico, ma Sylvia non vuole nessun tipo di aiuto, lo rassicura sulla sua salute e lo ringrazia uscendo da casa sua. Prima di salire le scale verso il suo appartamento gli chiede a che ora uscirà di casa la mattina successiva e quando lui chiede il motivo di quella domanda, Sylvia non risponde. Dopo aver chiuso la porta, Trevor, che non l'ha sentita allontanarsi, apre di nuovo e la scopre ancora ferma in mezzo al pianerottolo. Le suggerisce di chiamare il medico ma ancora una volta lei sorride distante. Gli
racconta di aver avuto un magnifico sogno, una visione stupenda e di essere stata rapita dalla fantasticheria. Trevor chiude la porta, e sente con sollievo il rumore dei passi di lei risalire verso casa. Li sente ancora prima di addormentarsi.
È una notte singolare, e anche Trevor sente nell'aria la straordinarietà del momento, ma non riconosce la disperazione di Sylvia, che ora non ha più bisogno di mascheramenti, e non accetta limiti. Agisce come un automa e segue la voce seduttrice che la porta alla distruzione.
Poco prima dell'alba, qualche luce fende l'oscurità.
lame oblique sulle ombre che s'addensano per le strade vuote e le corrono incontro. Sopraffatta, Sylvia non regge più alla tentazione.
Per favore chiamare il dottor Horder, scrive su un biglietto con il numero telefonico del medico, che attacca alla carrozzina di Nick, giù in fondo alle scale, dietro il portone d'entrata. Quindi sale in casa e prepara pane e burro e due tazze di latte che posa sul comodino nella camera dei bambini. Apre la finestra, benché l'aria sia fredda, e chiude bene la porta. Sigilla ogni fessura con nastro isolante e asciugamani arrotolati, poi scende sicura verso là cucina, dove si chiude dentro, isolandosi dall'esterno con lo stesso sistema. Apre lo sportello del forno, aggiusta un panno sul ripiano per accomodare la testa e dopo aver aperto la manopola del gas, si inginocchia e affonda il viso sul morbido, gli occhi nel buio.
Sente solo crepitii nel silenzio, il sibilo del serpente piumato che soffia sul collo. È l'ora. Non arriverà l'alba con gli orrori che ha raccolto nei versi, e il buio complice della notte è ancora nero, come l'uomo che ha amato e aspettato all' angolo della strada, come suo padre che già intravede, fuori dall'alba e dai giorni, in un tempo solo suo, quello senza limiti della poesia, in cui grida la voce che distrugge. Lì rinasce.
pp.204-206